La prima pietra“, l’ultima fatica del poliedrico Rolando Ravello, è un gran bel film. Lo diciamo subito non a caso ma per sottolineare la letizia dell’evento: opere italiane di pregio nei nostri natali dominati dai panettoni se ne vedono pochine. Dunque evviva! Entrando nel merito. Felice è la scelta di Ravello, che in questa avventura ha vestito i panni dell’autore e del regista, di una narrazione tipicamente teatrale per trattare temi drammatici di grande attualità (emigrazione, integrazione, odio razziale, ignoranza) con i toni della commedia. E’ un mix classico, ma difficile perché il rischio di banalizzare è alto. “La prima pietra” invece batte strade nuove. Fa sorridere e ridere, anche di gusto, ma lascia sempre sotto gli occhi i problemi. Vi è infine un quinto tema che il regista ha posto al centro della scena e che a me è molto caro: la scuola. La conoscenza, l’istruzione, la competenza sono le sole chiavi che una società ha per rinascere. Oggi che siamo ai minimi termini, mi tocca questa immagine di una scuola lacerata con una prof e due bidelli un po’ confusi, con ancora i meravigliosi “Quindici” nelle librerie e un preside regista mancato, forse inefficiente ma che tenta in buona fede di dare risposte e soluzioni. Mi tocca preoccupandomi non poco questa scuola condizionata da genitori che alla fine trovano come unico collante risolutivo delle loro insicurezze il menar le mani. Gli attori sono tutti bravi. Ravello li ha scelti con sapienza. Il preside (Corrado Guzzanti), la maestra (Lucia Mascino), il bidello e sua moglie (Valerio Aprea e Iaia Forte) e naturalmente la mamma del bambino, insieme a sua suocera (Kasia Smutniak e Serra Yılmaz) sono tutti molto centrati. Il bue di Guzzanti poi è un pezzo di bravura che ricorderemo in molti. Anche il titolo, che all’apparenza può dare un senso di pesantezza, ha una sua forte e giusta ragion d’essere. La prima pietra è infatti quella dalla quale si parte per far nascere una nuova abitazione (la scuola, la società, il senso civico) ma è anche quella biblica che non si può scagliare perché tutti abbiamo almeno un peccato. Mi piace il titolo poi perché reca in sé il concetto della costruzione e del perdono. Ecco, forse il titolo andava spiegato meglio in comunicazione, per portare consenso e pubblico verso un film delizioso e per non dare false percezioni.  Insomma, come ho detto, si tratta di un gran bel film. E lo dico anche dal punto di vista delle scelte di regia: mi sono piaciute le inquadrature nel cortile della scuola (dall’alto, rallentate e accelerate), il continuo rimbalzo di primi piani figli inevitabili di una storia a matrice teatrale. Ricercato l’incipit sulla pietra cosmica che evocava tanta letteratura anche cinematografica sulla nascita dell’universo. Mi è piaciuto anche l’uso dei bambini. In un film in cui perdono tutti gli adulti il rischio di un loro impiego retorico o, peggio, melenso era forte. I bambini di Ravello invece chiedono semplicemente futuro e non riescono a sedare i loro folli padri. Sono i più giusti ma perdono, come i loro genitori. Una chiusa drammatica. Ed era quello che ci voleva. L’augurio ora è che Ravello ed il produttore Procacci facciamo il massimo, anche in promozione che come sappiamo è una parte essenziale per il successo di ogni lavoro, affinchè questo film vada bene in Italia e poi si giochi le sue carte pure all’estero. Per una volta il cinema italiano con “La prima pietra” ha la chance di togliersi qualche soddisfazione.